Il Desiderio di Dio
I Magi e la Stella (Matteo 2,1-12)
I Magi e la stella rappresentano una ricerca archetipa, originaria, di
significato esistenziale, di pienezza di vita. È la ricerca della Verità in
quanto comprensione, ordine, armonia, amore e relazione. Questa ricerca è
caratterizzata da tre tappe: 1) Il luogo di provenienza dei Magi, l’oriente; 2)
La stella; 3) L’adorazione.
1) Il luogo di provenienza dei Magi, l’oriente
I magi vengono da oriente, dal luogo dove sorge il sole. L’oriente evoca
illuminazione e inizio.
Illuminazione. A livello simbolico profondo, il sole che sorge
dissipa le tenebre del caos, della confusione, del disorientamento. La parola
“orientare/orientarsi” viene appunto da “oriente”. La luce del sole nascente
permette di distinguere ciò che nell’oscurità appariva indistinto, con-fuso.
Con la luce, posso riprendere il cammino, la meta appare di nuovo chiara,
visibile. La luce, l’illuminazione, mostra il mio posto nell’universo, il quale
non è più un caos informe, ma appare per quello che è: ordine, armonia e Amore.
L’illuminazione è la comprensione della Verità; è saggezza.
L’illuminazione avviene quando l’oggettività della Verità (che è Amore
[“Dio è Amore” 1Gv 4,8.16 CEI 2008; “Dio è Luce” 1Gv 1,5 CEI 2008]) incontra e
viene accolta dalla libera soggettività dell’uomo. La Verità è intimamente
nuziale in quanto relazione feconda tra due soggetti individuali, e la
nuzialità è profondamente connessa con la Verità in quanto Amore, dono di sé.
L’oriente è il luogo del sorgere della luce in quanto culla di civiltà.
Israele possiede la consapevolezza storica di trovarsi in mezzo a due grandi
poli di civiltà, uno a oriente (la Mesopotamia) e uno a occidente (l’Egitto). I
Magi vengono dalla Mesopotamia, e la sacra famiglia fugge in Egitto. È il
movimento del sole. Cristo è riconosciuto per primo dall’oriente, e poi accolto
dall’occidente. I Magi sono i depositari e il punto culminante di millenni di
ricerca della Verità e di ricezione dei moti dello Spirito da parte
dell’oriente.
Tutto questo dice the Cristo è la Luce (“Io sono la Via, la Verità e la
Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” Gv 14,6 CEI 2008). Senza
di Lui non vi è illuminazione. La luce dell’oriente porta a Cristo, ed è Cristo
stesso che attira a sé.
Nel Vangelo di Matteo, subito dopo le Beatitudini, il lettore è “travolto”
da una frase di straordinaria potenza: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14
CEI 2008). Troviamo questa affermazione solo nel Primo Vangelo. È una chiamata
a diventare ciò che si è, a farsi carico della propria identità, a lasciarsi
coinvolgere nell'unica avventura degna dell'uomo: assumere il Regno,
interiorizzarlo, viverlo, ampliarlo, comunicare esso. Questa è la missione
della Chiesa e del cristiano.[2]
Il simbolo della luce designa anche l'identità e la missione della comunità
escatologica: “luce del mondo” (Mt 5,13-16 CEI 2008). I discepoli possiedono
un'identità relativa a quella di Cristo, e sono chiamati a influenzare le loro
culture attuali, a introdurre l'orizzonte promovente del Regno, ma ci
riusciranno nella misura in cui saranno disponibili al rapporto personale con
Cristo. Il testo conclusivo del Primo Vangelo, il mandato missionario del
Risorto (Mt 28,16-20), ci rivelerà che la missione della Chiesa è la missione
di Cristo e che il discepolato è un'operazione complessa, che comprende la
predisposizione suscitata dallo Spirito, la conversione e il cammino cristiano
aiutato dall'insegnamento. Il Risorto ripone estrema fiducia nelle capacità
comunicative dei discepoli che, sostenuti dallo Spirito Santo, sono chiamati a
investire tutte le loro energie, la loro creatività, per comunicare la Parola
di Gesù.[3]
Inizio. L’oriente rimanda inoltre a tutto ciò che è iniziale, l’alba, l’origine,
la nascita, il sorgere e il risorgere, la vita, e la tradizione, quello che
viene dal passato.
I magi sono gli iniziatori di questa ricerca. Il germe, il punto generativo
viene dall’oriente. In quanto partecipi dell’origine, essi conoscono il tempo
della nascita del Messia, e sanno che è nato in Giudea. Erode dovrà chiedere ai
sapienti di Israele, gli esperti delle Sacre Scritture, per apprendere il luogo
esatto della nascita del “Re dei Giudei”. L’oriente, in quanto dimensione
dell’inizio, è essenzialmente estatico (ex-stasis), centrifugo, rimanda
ad altro da sé, ti porta fuori da te stesso per incontrare Colui che è il
Centro dell’universo e di te stesso. Questa è infatti la traiettoria
dell’origine: è fatta per superarsi, uscire, andare oltre. I magi vengono
dall’oriente per incontrare Cristo, e sono i primi a farlo. Essi indicano la
via.
L’inizio rimanda al passato, alla tradizione. Nelle culture tradizionali,
come è in parte anche quella Biblica, quello che è all’inizio è più importante,
virtuoso e veritiero rispetto a quello che viene dopo. È per questo che la
tradizione è il valore centrale in queste culture. L’idea di fondo è che gli
antenati hanno ricevuto la pienezza della verità e delle virtu’ (generalmente
dagli dei). Successivamente, con il passare delle generazioni, questa pienezza
viene progressivamente perduta perché nessuna generazione riesce a trasmettere
a quella successiva la totalità di quello che ha ricevuto.
Ma nel racconto di Matteo assistiamo a un cambio radicale. Cristo, Colui
che è rappresentato dalla stella, e che deve essere adorato (egli è Dio), non
nasce né a oriente, né a occidente, ma nel mezzo, a Giuda, a Betlemme. Vi è qui
una interruzione significativa dello schema tradizionale. Non tutto era già
stato dato agli antenati. Anzi, questa è l’istituzione di un nuovo modello. La
tradizione non è più vista come pienezza iniziale che viene progressivamente
degradata, ma come anticipo, promessa, caparra, preparazione della pienezza che
deve avvenire. Se vogliamo rendere i due concetti in modo grafico, potremmo
dire che il primo modello (quello tradizionale) presenta un punto di origine
iniziale, con una freccia che si allontana da questo punto e che perde
consistenza con il passare del tempo (la trasmissione generazionale). Il nuovo
modello (quello di Matteo e del Nuovo Testamento in generale), presenta invece
un punto al centro, che è il luogo di convergenza della freccia del passato, ed
è allo stesso tempo il punto di divergenza della freccia del futuro. Tutto
tende verso e parte dal Centro che è Cristo. (L’Antico Testamento si trova in
mezzo a queste due prospettive. Il passato è importante ma Dio continua ad
agire, crea novità e trasmette la Rivelazione anche nel presente. Inoltre,
appare sempre di più l’attesa di un compimento futuro).
I Magi rappresentano l’inizio di ogni ricerca spirituale, il primo passo
verso la pienezza, la differenza tra lo zero e l’uno. Essi immettono nel mondo
una novità, e questo suscita scompiglio: “All’udire questo, il re Erode restò
turbato e con lui tutta Gerusalemme” (Mt 2,3 CEI 2008). Ogni novità perturba
l’ordine costituito. Il nuovo irrompe nella storia.
Cristo è il modello di ogni novità e nessuna novità può sussistere se non
in Lui. Si potrà obiettare che non tutte le novità sono positive, e dunque non
tutte sono in Cristo. In realtà il male non produce autentiche novità, si
limita a riproporre i medesimi modelli di male. Cristo è autentica novità, e se
una novità è autentica, è in Cristo. Pensiamo, ad esempio, alle novità portate
dal Cristianesimo: la proibizione del divorzio; il riconoscimento della dignità
di ogni persona umana, la necessita, di conseguenza, di annunciare il Vangelo a
tutti e la crisi della schiavitù; il valore del celibato per il Regno dei
Cieli; gli ospedali, le università e le banche moderne; la dottrina sociale
della Chiesa; il metodo scientifico; il progresso tecnologico; le esplorazioni;
ecc. Tutto questo è stato (e altro sarà) possibile perché la tradizione viene
vista in modo Cristologico, cioè come riferimento a una pienezza che è già
stata donata (la nascita, morte e Risurrezione di Cristo), e allo stesso tempo
come preparazione di una pienezza che giungerà a compimento nel futuro.
La novità riconosciuta dai Magi, Cristo, è una novità relativa, non
assoluta. Egli è il Re dei Giudei, fa parte di una tradizione, è il Messia
atteso che si manifesta in modo inatteso. Ogni novità (che non può che essere
Cristologica) è relativa perché’ deve essere preparata dal lungo processo della
tradizione.
I magi ci insegnano a riconoscere la novità. Essi sono “detectors” di
cambiamento, esploratori del desiderio di infinito che alberga nel cuore
dell’uomo.
2) La stella
I Magi rappresentano la ricerca dell'uomo per la Verità, la pace, la
realizzazione e l'adempimento. L'oggetto del loro desiderio è la stella. Essi percepiscono
che quella particolare stella, con caratteristiche molto peculiari, può
condurli alla realizzazione che stanno cercando. Hanno anche un nome per la
realtà rappresentata dalla stella: è il neonato Re dei Giudei, colui che sono
chiamati ad adorare.
Ma cosa indica la stella?
La stella, oltre a essere un fenomeno celeste, possiede anche un forte
significato simbolico. Cominciamo dall'etimo. Il termine “stella” è correlato
alla radice indoeuropea ster/str.
La radice str indica qualcosa simile alle luci che attraversano,
sono distese/sparse/diffuse per il cielo. Alla base vi è l’idea di spargere,
distendere. Da questa radice sono originate parole come il latino sterno/sternere
(“spargere”), il greco stornymi (“stendere, distendere”), astrum
(latino per “astro”), stratos (greco per “sparsi sul campo di battaglia,
truppe”), e strategos (greco per “colui che guida le truppe, stratega”). Le
parole “stella” e “strategia” derivano dalla medesima radice: come le stelle
sono sparse nel cielo, così le truppe devono essere distese con lo stesso
ordine e armonia sul campo di battaglia.[4]
La stella avvistata e seguita dai Magi evoca dunque ordine, armonia,
strategia. La stella li guida a Colui che è il centro stesso dell’ordine e
dell’armonia cosmiche/universali. È per questo che il fanciullo Re dei Giudei è
degno di adorazione, è il Volto di Dio stesso. La stella indica strategia e
richiede strategia per essere seguita. I Magi ottengono informazioni da Erode,
grande stratega, uomo politico e abile comandante militare. Ma anche essi
giocano la loro strategia.
Se vogliamo addentrarci un po’ di più nel significato della stella,
possiamo fare riferimento all’origine della parola “desiderio”. Nel suo libro Single vita sospesa, Ivana Quadrelli ,
parla del desiderio in questi termini:
“L’essere umano tende verso una
pienezza ‘sempre ricercata e mai esaurientemente raggiunta.’[5] (…) L’uomo scopre che i suoi
desideri sono ‘l’espressione sempre parziale e inesorabilmente insoddisfatta,
di un desiderio più fondamentale, il cui oggetto ci sfugge.’[6] Un desiderio di qualcosa alla
quale non si sa dare un nome. La parola desiderio, desiderium, è ricollegata, dagli scrittori latini, al termine siderea, che significa delle stelle.[7] Si desiderano le cose in quanto
sono una traccia dell’infinito, ossia ‘delle stelle’.[8] In ogni essere umano è
presente il desiderio di realizzare un amore perfetto in cui potersi
abbandonare totalmente: all'origine di questo desiderio c'è, nell’inconscio, il
desiderio di Dio. È una ‘sete dell’anima (…) ognuno che vuole procurarsi
qualcosa è nell’ardore del desiderio: lo stesso desiderio è la sete dell’anima.
E notate quanti desideri si agitano nei cuori degli uomini[9]’. Cristo ci rivela il fine
che ci attrae e alla quale l’anima anela. Essendo creati ad imago Dei, immagine di Dio (Gn 1,27), siamo creati per l’amore. Il
desiderio delle stelle, dell’Altro (divino), si concretizza tramite l’altro, lo
sposo/la sposa con atti tangibili. La dove ‘risiede il desiderio di amare e di
essere amati e la propensione di auto-trascendersi, in alto, in su, verso
l’Assoluto.’[10] È una forza iscritta in noi che caratterizza
in radice tutto il nostro essere.”[11]
Il nostro desiderio di assoluto, pienezza, compimento ci
porta a guardare in alto, verso il cielo. Che cos’è, in fondo, ciò che
desideriamo? Cosa hanno in comune i nostri molteplici desideri? Desideriamo il
cibo, relazioni profonde, amare ed essere amati, l’infinito, Dio. Desideriamo
ciò che ci nutre. E desideriamo ciò che ci nutre perché abbiamo inscritto
dentro di noi il codice della pienezza. Siamo fatti per tendere verso il
compimento di noi stessi. Le stelle (de-sidera) indicano a un tempo il
desiderio e la pienezza, il cammino e la meta. E infatti non può esserci
cammino senza una meta, né meta senza cammino. Il primo sarebbe un vagare senza
senso, senza direzione; e la seconda sarebbe irraggiungibile, e una meta che è
irraggiungibile cessa di essere un obiettivo.
Cosi le stelle, con il loro brillare e pulsare, diventano
simbolo di qualcosa a un tempo lontano e vicino, simbolo di contemplazione e
azione, cibo e compimento. Se non fossimo abitati dal desiderio, in ogni sua
forma, non saremmo spinti a nutrirci, e senza cibo non vi è compimento. È
facile da qui arrivare all’Eucaristia, cibo per la pienezza di ogni essere
umano. Le stelle evocano il vero cibo, il pane del cielo. Ma potremmo spingerci
ancora più in là.
Se il termine “desiderio” viene dalle stelle, come
simbolo di pienezza, e la pienezza rimanda all’atto della nutrizione (perché si
desidera ciò di cui ci si nutre, e ciò di cui ci si nutre diventa oggetto di desiderio),
qual è il significato profondo del nutrirsi? Quando mi nutro di qualcosa,
assimilo l’oggetto dentro di me, lo rendo parte di me, e lo rendo soggetto,
perché io sono soggetto in quando individuo unico e irripetibile. Questo
significa che il desiderio delle stelle è un atto eminentemente individuale.
Tutti desideriamo le stese cose, ma ognuno desidera in modo unico. Il desiderio
di infinto si esprime allora anche come desiderio di unicità, di
individuazione. E questo è il desiderio di Dio. Sì, anche Dio desidera perché
Dio è Amore. E l’amore è l’apice del desiderio. Dio desidera la mia, la tua
individualità. Ci ha creati unici perché esprimiamo la nostra unicità. E
l’unicità si esprime nel desiderio, nel lasciarci avvolgere dalla luce delle
stelle.
Desiderio viene dal latino desiderium, il quale proviene dalla
radice Indoeuropea sid, “legarsi alla luce, avere successo, realizzarsi,
raggiungere la perfezione”, da cui deriva il latino sidus/sideris,
“stelle, costellazione”, e de-siderium, “desiderio, ciò che discende/si
stacca da (de) le stelle (sidus)”. Altri termini correlati sono,
in sanscrito, sidh, “insegnare la strada”, e Siddharta, “colui
che ha conseguito il suo scopo”; e il latino, considero/considerare,
“porsi in sintonia con (con) il cielo stellato (sidus)”.[12]
I magi, nel seguire la stella, non solo sono alla ricerca dell’ordine
universale e del principio di questo ordine, dato dal Fanciullo, e lo fanno in
modo strategico (notare il tema della guerra spirituale); essi vengono attirati
dalla stella, essa catalizza il loro desiderio di realizzazione personale,
illuminazione totale, perfezione esistenziale. La stella indica loro la strada.
3) L’adorazione
La meta del cammino dei magi è il luogo indicato dalla stella: “Entrati
nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono (“essendo
caduti” in greco) e lo adorarono” (Mt 2,11 CEI 2008). Il bambino e la madre
sono in una casa. Lì avviene l’adorazione. Questo è il vero tempio. Il
tempio di Gerusalemme è come una succursale di questo luogo. Dio non è nella
reggia, né nel tempio; è nella casa, è il Bambino accanto a sua madre. È una
scena familiare, casalinga, nuziale, e insieme archetipa, primordiale,
suggestiva, evocativa, e potente. Cristo è nella casa degli uomini, nella
famiglia, nei luoghi dove ci si incontra e ci si dona gli uni per gli altri.
Il termine greco usato per indicare la casa è oikia (da oikos).
La radice greca oik- (da cui oikonomia, “legge della casa,
economia”) è imparentata con il latino vis-/vic- (visitare, vicus,
“in cui si entra, via”, vicinus, “che è dello stesso villaggio”, viculus,
“borgata, vicolo”) e il sanscrito vis-/ves- (vis, “andare dentro,
entrare”, vesa, “casa, fattoria”, visa, “comunità, tribù”). La
radice comune è data dall’indoeuropeo vis, “separarsi da e legarsi con,
entrare dentro, pervadere, vivere in comunità”.[13]
La casa è lo spazio in cui si entra per creare comunità, è il luogo in cui ci
si separa da tutto ciò che impedisce il vivere insieme (egoismo) e si accede
alla sfera dei legami comuni, ci si lascia pervadere dalla presenza dell’altro.
Nella casa veniamo trasformati dal potere della comunione (koinonia). È
lo spazio del dono, del dare e del ricevere, e del per-dono. È lì che
abbassiamo le difese, ci mostriamo vulnerabili, fasciamo le ferite, recuperiamo
le forze, ci nutriamo, e intessiamo la trama delle relazioni. Dio è presente
nella casa, nello spazio comune dove si costruisce la comunità nella comunione.
I magi entrano nella casa, vedono il bambino con la madre, cadono in
ginocchio e adorano. Il verbo greco pi’pto significa “cadere,
precipitare”, e appartiene alla medesima famiglia di petomai, “volare”.
L’uso di questo termine evoca l’immagine dei magi che vengono come sopraffatti
dall’emozione e dalla consapevolezza di trovarsi faccia a faccia con Colui che
hanno tanto desiderato, e per il quale si sono preparati per così lungo tempo.
Essi perdono ogni cognizione del tempo; esiste solo il qui e ora. Questo è il
punto centrale della loro vita. Tutto quello che hanno vissuto fino a ora era
una preparazione per questo momento, e quello che vivranno da ora in poi ne
sarà la conseguenza. La loro esistenza e la loro identità vengono
irrimediabilmente marcate da questo incontro. Non possono più essere gli
stessi. Essi cadono, precipitano, non possiedono più certezze, conoscenze,
status sociale, potere, esperienze. Tutto è rinnovato. Il vecchio uomo muore
per lasciare spazio al nuovo. Solo precipitando possiamo spiccare il volo. E
cadono/volano per adorare.
Ma cosa significa adorare? Il vocabolo greco è proskyne’o,
composto da pros (“andare verso”) e kyneo (“baciare”, forse da kyon,
“cane”, come un cane che lecca la mano del padrone), “avvicinarsi per baciare”.
Il latino adorare rimanda alla medesima idea: ad (“andare verso”)
e os (“bocca”), “portare alla bocca”. Probabilmente si riferisce
all’atto di portare la mano alla bocca per baciare la statua della divinità, o
baciare il pavimento davanti alla statua in segno di reverenza. L’adorazione ha
dunque a che fare con il bacio. Il bacio esprime una dimensione umana
fondamentale, il mangiare. A livello simbolico profondo, infatti, il bacio
funziona come un simbolo della nutrizione. Baciando l’altra persona, la “introietto”
simbolicamente, la assumo/assimilo, la rendo parte di me. La mamma dice al
bambino che lo mangia di baci.
Il termine “adorare” si riferisce al rapporto con il divino o con un suo
sostituto. Adorare significa nutrirsi dell’oggetto dell’adorazione. Nell’adorazione
mi nutro di Dio. Siamo esseri adoranti, non possiamo fare a meno di adorare
qualcosa o qualcuno. Possiamo adorare Dio, o una persona, un’ideologia, lo
stato, o noi stessi (“narcisismo” viene dal mito di Narciso come un chiaro
esempio di adorazione sostitutiva e disfunzionale. Il giovane Narciso si
innamora dell’immagine di sé rifessa in uno specchio d’acqua e, nel tentativo
di baciare [nutrirsi di/adorare] l’immagine [se stesso], annega nel lago).
In questa casa (comunione) i magi cadono/volano (si aprono al
trascendente) e adorano, si nutrono della presenza di Dio nel Bambino
con sua madre. La stella li ha condotti alla casa/tempio, la ricerca termina, e
un nuovo viaggio incomincia. Viviamo tra la strada e la casa, tra il cammino
nel mondo e la comunione ritirati dal mondo. La nostra sete di infinito
(de-siderio, la stella) ci spinge a cercare nuovi orizzonti, a esplorare nuovi
territori. La casa è il centro nuziale del cammino. Lì trovi Dio con la madre.
Lì ti nutri del vero cibo e bevi la vera bevanda. Cadi, precipiti per volare,
esci da te stesso per ritrovare l’autentico te. Di fronte a te non trovi la tua
immagine, ma l’immagine di Cristo, Figlio dell’Uomo e Figlio di Dio, vera icona
del Padre nello Spirito. Di fronte a questa immagine vedi te stesso per quello
che sei e che puoi essere. E non sei più lo stesso. La casa ti accoglie ma ti
invita anche a uscire sulla strada e annunciare la trasformazione che attende
tutti coloro che sono umili e disponibili.
[1] Mauro Meruzzi, “Voi siete la luce del mondo”, 53
[2] Mauro Meruzzi, “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14). La missione di
Cristo e del cristiano a partire dal simbolo della luce nel Vangelo di Matteo,
Assisi, Cittadella, 13.
[3] Mauro Meruzzi, “Voi siete la luce del mondo”,17
[4] Cf. Franco Rendich, Dizionario etimologico comparato delle lingue
classiche Indoeuropee, Roma 2010, 481.
[5] L. MELINA, J. NORIEGA, Domanda sul bene, domanda su Dio, PUL
Mursia 1999, 92.
[6] “linguaggio sacrale degli oracoli di
augurio, in cui si ricercava ansiosamente nelle stelle un segno, che garantisse
il compimento di ciò che il cuore spera.” L.
MELINA, J. NORIEGA, op. cit., 93.
[7] Ibidem. “Sidèreo agg. [dal lat.
sidereus, der. di sidus -dĕris ‘stella’]. – 1. Delle stelle, stellare; la luce” https://www.treccani.it/vocabolario/sidereo/
[8] L. MELINA, J. NORIEGA, op. cit., 93
[9] SANT’AGOSTINO, Enarrationes in psalmos, 62,5. in L. MELINA, J. NORIEGA, op. cit., 92.
[10] C. ROCCHETTA, Viaggio nella Tenerezza Nuziale, Per
ri-innamorarsi ogni giorno. Edizioni Devoniane Bologna, 2003,76.
[12] Cf. Franco Rendich, LVI, 464.
[13] Cf. Franco Rendich, 408.
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